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    • #1019

      Arianna
      Partecipante

      4 anni fa nella mia classe ci fu un caso di cyberbullismo. La vittima, un ragazzo di 17 anni, fu preso di mira da una banda di compagni di scuola a causa della sua apparente (in quanto non dichiarata) omosessualità. I ragazzi crearono immagini della vittima con scritte intimidatorie e offensive diffondendole su una pagina facebook seguita dai ragazzi dell’istituto (non la pagina ufficiale che è presidiata anche dal personale docente e amministrativo) attraverso profili falsi che non permettevano la loro identificazione.
      La difficoltà più grande per me e i miei colleghi è stata quella di creare un rapporto fiduciario con il ragazzo in quanto il fatto stesso di chiedere aiuto era, per lui e per i suoi carnefici, una dimostrazione di debolezza.
      Rivolgersi a noi era come mostrare ulteriormente il fianco ed esporsi ancora di più al massacro e come spesso accade anche i genitori erano all’oscuro della situazione.
      Inoltre il cyberbullismo può avvenire ovunque e in qualsiasi momento, privando la vittima dei suoi spazi-rifugio, come ad esempio la casa e questo aspetto ha reso ancora più complicata la nostra attività di vigilanza.
      Il problema è venuto alla luce in una giornata di lezione in aula informatica durante la quale il collega ha scoperto alcuni ragazzi che guardavano la pagina facebook nella quale circolavano le foto dello studente.
      Da quel momento è iniziata la nostra azione di tutela e sostegno nei confronti del ragazzo attraverso un primo colloquio personale fuori dall’orario di lezione in modo da evitare sguardi indiscreti. Al ragazzo è stato offerto il massimo sostegno cercando di fargli capire l’importanza del coinvolgimento dei suoi genitori (abbiamo volutamente deciso di provare a convincerlo prima di metterlo davanti al fatto compiuto). Per fortuna il giovane ha colto subito l’occasione di farsi aiutare da un team composto da una psicologa e un carabiniere (genitore di uno studente). Sentirsi capito e accolto è stato fondamentale per la vittima, che ha trovato la forza di reagire rispondendo sulla pagina facebook dicendo di aver deciso di denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine e che presto quella storia sarebbe passata dal web al mondo reale. E’ bastato paventare una possibile ripercussione legale attraverso la polizia postale per far spaventare i bulli che hanno velocemente rimosso il materiale offensivo e smesso di perseguitare il ragazzo. Sicuramente questa è stata una storia a lieto fine e anche di semplice risoluzione e molto spesso non è così facile, però quello che abbiamo sperimentato noi è stata l’importanza di un approccio aperto, non giudicante e disposto all’accoglienza e all’ascolto. Porci al fianco e mai al di sopra dei ragazzi attraverso un’azione di rete tra famiglie, scuola, psicologi e forze dell’ordine ci ha permesso di uscirne bene e rapidamente.

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